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In attesa che Wikileaks pubblichi le ultime fughe, giusto per farsi un'idea, giusto per capire cosa scrivono di solito gli americani nei loro coloriti dispacci interni dedicati al nostro Paese, e in particolare alla nostra politica, basta rileggersi quanto l'Ambasciata americana di Roma scriveva a Washington, al Dipartimento di Stato, e a Langley, alla Cia, sull'affaire Ustica. Si tratta di un malloppo di telex in lingua inglese, che vanno dal 1980 al 2000, giunti in Italia nel 2003 - già declassificati e zeppi di censure - grazie al Freedom Information Act. Stragi80.it li pubblicò tutti e vale proprio la pena rileggersi quelle carte, proprio per capire cosa scrivono gli analisti americani quando parlano del Bel Paese.

Per scaricare i telex in pdf: prima parte - seconda parte - pdf-ocr

Vent'anni di preoccupazioni - di Paola Pentimella Testa (Avvenimenti, 7/5/2004)

Chiamatela dietrologia, oppure antiamericanismo. Ma resta un dato di fatto: anche in questa brutta storia i nostri fedeli alleati americani ci sono entrati con le mani e con i piedi. È stata colpa loro? Chi può dirlo. Ma di certo, quella sera, mentre i 140 tra passeggeri e membri dell’equipaggio del Moby Prince andavano a morire contro quella petroliera, gli americani nel porto e alla rada di Livorno c’erano eccome. Così la tragedia di quel traghetto è diventata, nel tempo, la “Ustica del mare”. Troppe coincidenze. Troppi sospetti. Troppe presenze anomale in quel tratto di mare ingolfato come quel pezzo di cielo dove il 27 giugno 1980 si trovò, in altrettanto casuale compagnia, il Dc9 della compagnia Itavia.In quell’occasione le vittime furono 81, ovvero 82 con la verità finita per sempre, insieme a gran parte dei passeggeri di quel volo, in fondo al mare. Due storie diverse, due tragedie distanti tra loro ma unite dallo stesso pauroso sospetto. A tornare indietro con la memoria, di pretesti, volendo, se ne trovano anche altri. Dall’arrivo delle spie americane in Sicilia, subito dopo il secondo conflitto mondiale, la cui attività, secondo molti, fu fortemente legata a quella della mafia, alla Strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947), fino all’uccisione in Iraq dell’agente segreto Nicola Calipari (4 marzo 2005), passando per la strage della funivia del Cermis (3 febbraio 1998). I misteri, quelli che tutti chiamano “misteri d’Italia”, in questo Paese hanno quasi sempre un inquietante risvolto a stelle e strisce, e non è sempre colpa della dietrologia.Gli americani, secondo i complottisti, mettono lo zampino dappertutto, e quindi se là, in quel mare, la sera del rogo del Moby Prince, c’erano anche loro, è accaduto sicuramente qualcosa che nessuno deve sapere. ...continua a leggere "Moby Prince. Spettatori di una sovranità limitata"

Solo lui conosceva quanti e quali erano gli indicibili segreti di Stato che, alla fine, si è portato fin dentro la tomba. Francesco Cossiga, l’ex tutto, che non a caso in Senato sedeva nello scranno numero 007, se n’è andato a modo suo, il 17 agosto, quasi sbattendo la porta in faccia a tutti e lasciando, all’Iddio, il compito di proteggere l’Italia. Del resto in quale altro modo interpretare la scelta di tenere fuori dal suo funerale tutte le cariche dello Stato, nessuna esclusa. Tranne pochi altri, come loro, quelli senza volto e senza nome: i suoi fedeli figliocci dei corpi speciali.

E i segreti? I segreti - cioè tutto quello che ancora non sappiamo su più o meno mezzo secolo di storia repubblicana - se li è portati via con sé. Forse, visto il soggetto, quelli non li ha rivelati proprio a nessuno: perché un segreto di Stato è tale, è tale deve rimane. O magari, come amano pensare in rete gli amanti della dietrologia, quelle quattro lettere indirizzate alle più alte cariche dello Stato contenevano anche quelli. Oppure i suoi fedeli “apparati” dell’intelligence, un attimo dopo, su sua precisa indicazione, hanno raccolto il suo archivio e se lo sono portato via. Perché, spie e segreti, erano sì la sua passione, ma anche la sua ossessione. ...continua a leggere "Storia di un picconatore"

«In Europa un criminale non può acquistare la bomba atomica, però può sempre comprarsi l’azienda che la produce, perché nel libero mercato nessuno glielo può impedire». A parlare èFabio Ghioni, l’hacker più famoso d’Italia, reo di aver “bucato” decine di server, compresi quelli della statunitense Kroll e del Corriere della Sera, per nome e per conto di Marco Tronchetti Provera assicura lui, quando era a capo della sicurezza informatica del gruppo Telecom Italia.

Lui, Divine Shadow, ombra divina, ormai fa informazione da sé - online, in decine di conferenze, con i suoi libri - e quando incontra un giornalista parla solo se le domande sono “sensate”. Da dire ci sarebbe molto, ma ormai Ghioni campa d’altro e Telecom lo considera solo un inciampo: una macchia nera nel suo lunghissimo curriculum che da quell’incidente in poi non ha fatto altro che allungarsi. Vola da una parte all’altra del globo, scrive dalla sua Hacker Republic e basta digitare il suo nome su Google per entrare nel suo mondo “binario”. Ora che è libero di parlare, che ha saldato il conto con la giustizia, patteggiando a 3 anni e 4 mesi la condanna per lo scandalo Telecom-Pirelli, ha cominciato a togliersi anche qualche sassolino dalle scarpe. ...continua a leggere "Riciclaggio e tecnologie, il grande buco nero."