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Giovanni Falcone
Giovanni Falcone

Tasselli mancanti. Misteri mai risolti. Testimoni che chiedono la verità, anche a distanza di 23 anni. Dopo la strage di Capaci - l'attentato del 23 maggio 1992 in cui persero la vita il magistrato anti mafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro - Giuseppe Ayala, amico e collega di Falcone, ha più volte ripetuto queste parole: «Una sera, quando ancora Giovanni era al Palazzo di giustizia di Palermo, andai nella sua stanza. Mi disse: 'Prendi un sorso di whisky, devo terminare una cosa'. Quando finì di scrivere sul computer portatile mi guardò: 'Sto annotando tutto quello che mi sta succedendo per ora in ufficio. Qualunque cosa dovesse succedere, tu sai che è tutto scritto'». Ha più volte commentato, incredulo, la circostanza che nei computer di Falcone non fu trovato nessun diario.
Sono «i pezzi mancanti»: così li ha definiti il giornalista palermitano Salvo Palazzolo, che qualche anno fa ha dedicato un libro a tutte le prove che mancano nelle inchieste su Cosa nostra e la stagione della stragi.
Falcone era un grande appassionato di informatica. Di più: era stato un pioniere, perché aveva capito che per gestire e analizzare grandi quantità di dati non serviva solo il fiuto investigativo, ma anche la tecnologia, i database, i fogli elettronici. Aveva computer ovunque: a casa e in ufficio. Così come amava portare con sé alcuni databank, della Casio e della Sharp, dove annotava minuziosamente informazioni, appuntamenti, pensieri, appunti investigativi. ...continua a leggere "La strage di Capaci, «i pezzi mancanti» nei pc di Falcone"

Giovanni Falcone«Una violenta esplosione è avvenuta sull’autostrada Palermo-Trapani all’altezza dello svincolo di Capaci, un paese a 20 chilometri da Palermo. L’esplosione ha investito alcune automobili in transito e sventrato un tratto dell’ autostrada. Sul posto si sono recati numerose auto di polizia e carabinieri, autoambulanze ed elicotteri delle forze dell’ ordine per soccorrere i feriti. Gli investigatori stanno accertando se si tratti di un attentato ad una «nota personalità» che percorreva l’ autostrada».
Il primo lancio dell’agenzia Ansa arriva alcuni minuti dopo le 18, sono solo poche righe. L’esplosione è avvenuta alle 17.56, a fissare l’ora esatta dell’attentatuni sono i sismografi della stazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica di Monte Cammarata. E’ come un sussulto che arriva dalle viscere della terra, ma non è un terremoto.
Alle 19 l’Ansa annuncia che si tratta di un attentato in cui è rimasto ferito il giudice Giovanni Falcone. «Il giudice Giovanni Falcone, direttore generale del Ministero di Grazia e Giustizia, è rimasto gravemente ferito in seguito ad un attentato mentre percorreva l’autostrada Trapani-Palermo ed è stato ricoverato in ospedale. Alcuni uomini della sua scorta sarebbero rimasti uccisi».
Ore 19.31. «Secondo quanto si è appreso da fonti investigative, il giudice Falcone sarebbe «clinicamente morto». La moglie è in gravissime condizioni». Alle 19.44 segue una prima ricostruzione di quanto è accaduto a Capaci. «L’attentato al giudice Falcone sarebbe avvenuto intorno alle 18,20 (l’orario esatto è le 17.56, ndr) sulla autostrada A 29 all’altezza di Capaci (Palermo). Un’autobomba sarebbe stata fatta esplodere al passaggio delle 5 macchine della scorta (si accerterà che l’esplosivo era stato collocalo sotto l’autostrada, ndr). Nell’attentato sono rimaste coinvolte sette autovetture. Numerosi sarebbero anche i feriti, ricoverati anche nell’ospedale civico di Palermo e in un altro nosocomio locale, fra questi, la moglie Francesca Morvillo, Giudice della Corte d’ Appello di Palermo».
Dopo l’esplosione il primo ad accorrere sul posto è stato un contadino, Salvatore Gambino, che stava dissodando un terreno ai margini dell’autostrada. «Ha raccontato di avere estratto dalla Croma bianca il corpo di una donna (Francesca Morvillo) – scrive l’Ansa – e di un uomo gravemente ferito, quasi certamente lo stesso Falcone che era apparentemente alla guida della vettura».
Falcone è arrivato al pronto soccorso dell’ospedale civico di Palermo intorno alle 19. «Il responsabile del reparto, Francesco Crisci, ne ha rilevato l’avvenuto arresto cardiaco. Il magistrato, nell’attentato ha riportato fratture in molte parti del corpo. La salma – scrive l’Ansa alle 20.52 – è stata composta provvisoriamente in una saletta attigua al pronto soccorso. Molti suoi colleghi di Palermo sono entrati per pochi attimi: Leonardo GuarnottaGuido Lo ForteGianfranco GarofaloGiusto Sciacchitano, l’ ex presidente della Corte di Appello Carmelo Conti, i procuratori aggiunti Elio Spallitta e Paolo Borsellino».
La notizia che Giovanni Falcone è morto viene battuta alle 19.43. «Il procuratore della repubblica Pietro Giammanco ha confermato che Giovanni Falcone è morto. Nell’ attentato sarebbero morti anche tre agenti di polizia. Secondo la ricostruzione del Procuratore, gli attentatori avrebbero utilizzato un migliaio di chilogrammi di esplosivo (in realtà tra i 400 e i 500 chili, ndr), piazzato in un sottopassaggio dell’autostrada. Quando è avvenuta l’ esplosione, si è aperta una voragine che ha coinvolto la macchina che precedeva quella di Falcone e altre due che seguivano, una delle quali non faceva parte del corteo. In quest’ultima automobile sarebbero rimaste uccise due persone. Nell’ospedale civico di Palermo, dove sono stati trasportati i feriti e dove i medici hanno constatato la morte di Giovanni Falcone, è ricoverata nel reparto di neurochirurgia sua moglie che avrebbe riportato anche fratture alle gambe».
Alle 21.46 l’Ansa conferma che anche i tre uomini della scorta sono morti: «Sono: Antonio MontinaroRocco Dicillo e Vito Schisano. Quest’ ultimo aveva 27 anni e lascia un bambino di quattro mesi e la moglie Rosalia di 24 anni. Un quarto membro della scorta, l’autista giudiziario Giuseppe Costanza, è ferito ed è ricoverato nell’ospedale civico da dove le salme sono state trasferite nell’Istituto di Medicina Legale dell’Università».
Intorno alle 21 si fa viva anche la Falange Armata. «Con una telefonata alla sede Ansa di Palermo, un uomo che ha detto di parlare a nome della “Falange armata” ha dettato il seguente comunicato: “la Falange armata ha lunga memoria e l’ avviso lanciato come di consueto tramite questa Agenzia nei giorni scorsi aveva bene un senso. Seguirà un chiaro comunicato».
Alle 22.44 il capo di gabinetto della questura di Palermo riferisce all’Ansa che le condizioni della moglie di Falcone sono molto gravi: «è ancora sottoposta ad intervento chirurgico in neurochirurgia, all’ospedale civico». Alle 23.10 arriva la notizia che anche Francesca Morvillo è deceduta. «L’ufficio di gabinetto della prefettura di Palermo ha detto che Francesca Morvillo è morta alle 22,58 mentre veniva sottoposta a intervento chirurgico».

di Fabrizio Colarieti

giorgio napolitanoIl boia delle telefonate della discordia tra il presidente Giorgio Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, indagato per falsa testimonianza nell'ambito dell’inchiesta sulla trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra, non è ancora entrato in azione. Lunedì 11 febbraio un tecnico incaricato dal Tribunale sarebbe dovuto entrare nella sala server del carcere palermitato dell’Ucciardone con una missione precisa: distruggere i quattro file audio contenenti le conversazioni finite nel mirino della Consulta, dopo il conflitto di attribuzione sorto tra il Capo dello Stato, registrato indirettamente, e la procura di Palermo, che li aveva incisi ascoltando (legalmente) le utenze dell’indagato Mancino. La decisione del gip, Riccardo Ricciardi, che dovrà dare il via libera alla distruzione di quelle registrazioni è slittata all'udienza dell’11 marzo. Un rinvio innescato dal ricorso di un altro co-indagato eccellente:Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, l’ex sindaco mafioso di Palermo, che ha chiesto di ascoltare le conversazioni per accertare se contengano elementi favorevoli alla sua difesa. Ironia della sorte a cancellare le tracce di quelle telefonate era stato chiamato in Sicilia un tecnico della Research control system di Milano. La stessa società finita nei guai per la famosa telefonata – anch'essa intercettata – nel corso della quale Piero Fassino, parlando con Giovanni Consorte all'epoca dell’inchiesta sulla scalata di Unipol alla Bnl, esclamò «abbiamo una banca?». Telefonata finita illegalmente nelle mani di Silvio Berlusconi e subito dopo tra le colonne de Il Giornale, dopo essere stata trafugata dalla sala ascolti della procura di Milano, proprio da un tecnico della Rcs (il processo è sospeso e rinviato a dopo le elezioni). ...continua a leggere "Gli X-Files del Colle"

napolitano(3)Sarebbe stata l’unica volta che Silvio Berlusconi non avrebbe gridato allo scandalo, anzi avrebbe ringraziato la Consulta – quella tutta di sinistra – per averlo reso immune e libero di parlare di qualunque cosa, al telefono, con uno scudo invincibile e fatto di sole parole. Ma quelle parole, che scritte in altri tempi avrebbero evitato molte grane all’ex premier, la Corte Costituzionale le ha appena riservate a un’altra istituzione, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, finita indirettamente dentro le cuffie di una procura mentre parlava con un affannato cittadino, tale Nicola Mancino, già senatore e già vicepresidente del Csm, sotto inchiesta a Palermo per non aver detto tutta la verità sulla presunta trattativa tra lo Stato e Cosa nostra. Lo dicono i magistrati che lo hanno indagato per falsa testimonianza, insieme ad altri 11 tra politici, militari e mafiosi, e a breve si saprà se a torto o a ragione. Per ora Mancino è sotto inchiesta per quella lunga catena di non so e non ricordo. E mentre andiamo in stampa (martedì 22 gennaio) il Gup Piergiorgio Morosini deve ancora pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Palermo. Un buco nero che copre tutta la stagione delle stragi di mafia, di cui lui, però, rimembra poco o nulla. Per esempio non ricorda di aver conosciuto – da ministro dell’Interno appena insediato – il giudice Paolo Borsellino, ed è singolare, perché, oltre a essere il simbolo della lotta alla mafia, era l’unico, in quel momento, dopo Giovanni Falcone, ucciso da pochi giorni, a rischiare la vita a Palermo. Nega di aver mai appreso, in quello stesso periodo, dell’esistenza di un dialogo segreto tra pezzi dello Stato e i boss (Bagarella, Cinà, Brusca, Riina e Provenzano).
I FATTI. Torniamo indietro. Il 15 giugno 2012 Corriere della Sera e La Repubblica riferiscono la notizia di un colloquio telefonico fra il consigliere giuridico del Colle, Loris D’Ambrosio (scomparso il successivo 26 luglio), e l’ex ministro Nicola Mancino (intercettato). Il colloquio è avvenuto il 7 dicembre 2011, il giorno dopo la sua audizione in procura a Palermo. Mancino si autodefinisce «un uomo solo, che va protetto», e chiede l’intervento di Napolitano. Cinque giorni dopo il settimanale Panorama rivela l’esistenza di alcune telefonate, intercettate, proprio fra il Presidente Napolitano e Mancino. Altri due giorni e intervistato da La Repubblica il pubblico ministero Nino Di Matteo, titolare dell’inchiesta sulla trattativa, insieme ad Antonio Ingroia e Lia Sava, dichiara che «negli atti depositati non c’è traccia delle conversazioni del Capo dello Stato. Questo significa che non sono minimamente rilevanti». Il 6 luglio il procuratore capo, Francesco Messineo, fa sapere che la procura di Palermo «avendo già valutato come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia eventuale comunicazione telefonica in atti diretta al Capo dello Stato, non ne prevede alcuna utilizzazione investigativa o processuale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare con l’osservanza delle formalità di legge». Tre giorni dopo dalle colonne del quotidiano La Repubblica, sempre Messineo, ribadisce che «nell’ordinamento attuale nessuna norma prescrive o anche soltanto autorizza l’immediata cessazione dell’ascolto e della registrazione, quando, nel corso di una intercettazione telefonica legittimamente autorizzata, venga casualmente ascoltata una conversazione fra il soggetto sottoposto ad intercettazione ed altra persona nei cui confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione ». Perché Mancino è così preoccupato, tanto da rivolgersi al capo dello Stato? Innanzitutto perché sa che tutti quei non ricordo sono davvero imbarazzanti, anche vent’anni dopo. Ma non immagina, forse, che anche quelle telefonate diventeranno presto altrettanto fastidiose, in particolare per il suo interlocutore. ...continua a leggere "Sua maestà il Presidente"