La Polizia sapeva. E l’accusa pesa come un macigno. Fin dal 1995 gli investigatori che indagavano sulla strage di via D’Amelio, in cui il 19 luglio 1992 fu ucciso il giudice Paolo Borsellino insieme ai cinque agenti della sua scorta, erano a conoscenza che quanto raccontato dal pentito Vincenzo Scarantino non corrispondeva alla verità. Dunque tutto quello che accadde negli anni successivi, condanne definitive comprese, fu viziato da quella falsa testimonianza. Un cumulo di menzogne, di fatto un vero e proprio depistaggio, che ha retto fino al 2007, quando il boss Gaspare Spatuzza ha cominciato a collaborare raccontando di essere stato lui a trasformare in autobomba la Fiat 126 utilizzata per compiere l’attentato. La storia della falsa collaborazione di Scarantino, che per la strage di via D’Amelio fu inizialmente condannato a 18 anni e poi scagionato, ora è oggetto di un processo, in corso a Caltanissetta e ormai arrivato alle battute finali. Vede imputati, per calunnia aggravata, tre poliziotti - Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei -, negli anni ‘90 investigatori di punta del pool che indagò sulla strage di Palermo. Secondo la Procura del capoluogo nisseno, Scarantino sarebbe stato indotto dagli investigatori che lo gestivano, guidati dall’allora capo del pool Arnaldo La Barbera, ad accusare della strage mafiosa persone innocenti. ...continua a leggere "La Barbera & C. dietro i depistaggi su Via d’Amelio"
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Borsellino, la ricostruzione della strage di via D’Amelio
La notizia era già emersa nel '93 nel corso delle prime indagini sulla strage di via D'Amelio e dagli accertamenti compiuti dal consulente Gioacchino Genchi. Poi, a confermare che il telefono dell'abitazione della madre del giudice Paolo Borsellino era intercettato da Cosa Nostra fu direttamente, 20 anni dopo, il boss Totò Riina.
Il capo dei capi rivelò l'inquietante circostanza a un compagno di cella, Alberto Lorusso, e la conversazione era stata intercettata: «Sapevamo», affermava Riina, «che doveva andare là perché lui (Borsellino, ndr) gli ha detto: 'domani mamma vengo'». Dunque Cosa Nostra conosceva perfettamente gli spostamenti del giudice e, intercettando il telefono dell'abitazione della madre, ebbe conferma che Borsellino, l'indomani, si sarebbe recato in via D'Amelio per accompagnarla a una visita medica.
Sempre a Lorusso, Riina raccontò che era stato lo stesso Borsellino ad azionare l’ordigno, il cui telecomando era stato piazzato nel citofono dello stabile che ospitava l’abitazione della madre. «Minchia», affermava ancora il padrino di Corleone, «lui va a suonare a sua madre dove gli abbiamo messo la bomba. Lui va a suonare e si spara la bomba lui stesso. È troppo forte questa».
Secondo gli inquirenti, Cosa Nostra avrebbe predisposto una sorta di triangolazione: un primo telecomando avrebbe attivato la trasmittente, poi suonando al citofono il magistrato stesso avrebbe inviato alla ricevente, piazzata nell'autobomba, l'impulso che avrebbe innescato l'esplosione. ...continua a leggere "Borsellino, la ricostruzione della strage di via D’Amelio"
Nuove verità su via D’Amelio
Mentre a Palermo, con un processo che si aprirà il prossimo 27 maggio, si cerca la verità sulla presunta trattativa tra lo Stato e la Mafia, a Caltanissetta si è appena avviato un altro dibattimento che dovrà riscrivere, di nuovo, la storia della strage di via D’Amelio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i suoi cinque uomini di scorta. La prima udienza c’è stata il 22 marzo e sul banco degli imputati, dinanzi alla presentati i boss Salvino Madonia e Vittorio Tutino e i tre falsi pentiti, Vincenzo Scarantino, Calogero Pulci e Francesco Andriotta, autori del clamoroso depistaggio che proprio per la strage del 19 luglio 1992 mandò all’ergastolo sette innocenti. Le indagini, avviate nel luglio del 2008 dai pm della Dda di Caltanissetta, guidati dal procuratore capo Sergio Lari, hanno permesso di accertare che le “verità” su via D’Amelio, passate nell’arco di 13 anni al vaglio di ben tre processi, tutti definiti con sentenze passate in giudicato, sono state viziate dalle false dichiarazioni rese da Scarantino, Pulci, Andriotta e Candura. «Le sentenze emesse a conclusione di quei processi - scrivevano i pm di Caltanissetta chiedendo l’arresto dei nuovi indagati, oggi imputati -, pur avendo accertato la responsabilità di numerosi associati a “cosa nostra “ in qualità di mandanti ed esecutori della strage di Via D’Amelio ed inflitto numerosi ergastoli, avevano ricostruito un complesso mosaico descrittivo di quel tragico avvenimento che presentava diverse tessere mancanti». ...continua a leggere "Nuove verità su via D’Amelio"
Gli X-Files del Colle
Il boia delle telefonate della discordia tra il presidente Giorgio Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, indagato per falsa testimonianza nell'ambito dell’inchiesta sulla trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra, non è ancora entrato in azione. Lunedì 11 febbraio un tecnico incaricato dal Tribunale sarebbe dovuto entrare nella sala server del carcere palermitato dell’Ucciardone con una missione precisa: distruggere i quattro file audio contenenti le conversazioni finite nel mirino della Consulta, dopo il conflitto di attribuzione sorto tra il Capo dello Stato, registrato indirettamente, e la procura di Palermo, che li aveva incisi ascoltando (legalmente) le utenze dell’indagato Mancino. La decisione del gip, Riccardo Ricciardi, che dovrà dare il via libera alla distruzione di quelle registrazioni è slittata all'udienza dell’11 marzo. Un rinvio innescato dal ricorso di un altro co-indagato eccellente:Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, l’ex sindaco mafioso di Palermo, che ha chiesto di ascoltare le conversazioni per accertare se contengano elementi favorevoli alla sua difesa. Ironia della sorte a cancellare le tracce di quelle telefonate era stato chiamato in Sicilia un tecnico della Research control system di Milano. La stessa società finita nei guai per la famosa telefonata – anch'essa intercettata – nel corso della quale Piero Fassino, parlando con Giovanni Consorte all'epoca dell’inchiesta sulla scalata di Unipol alla Bnl, esclamò «abbiamo una banca?». Telefonata finita illegalmente nelle mani di Silvio Berlusconi e subito dopo tra le colonne de Il Giornale, dopo essere stata trafugata dalla sala ascolti della procura di Milano, proprio da un tecnico della Rcs (il processo è sospeso e rinviato a dopo le elezioni). ...continua a leggere "Gli X-Files del Colle"